domenica 4 novembre 2012

I Dark Quarterer sono misteriosi...

Paul Gaugin: Soyez Mystérieuses
Soyez Mystérieuses (trad.: siate misteriosi) è una scultura di Gaugin che non conoscevo fino a poco tempo fa, ma che ebbi la fortuna di scoprire a Paris al Musée D'Orsay
Quella scritta, impressa direttamente sulla pietra-tela, ha da subito suscitato qualcosa in me: un moto interiore che non so e non voglio descrivere, perché, appunto, indescrivibile ed inafferrabile.

Per me, con Soyez Mystérieuses, il pittore voleva dire di essere se stessi con i propri lati oscuri ed i propri lati luminosi, riconoscendoli entrambi come spunto di crescita e miglioramento.

Ieri sera a Livorno, presso Stagno, ho avuto la fortuna di essere nuovamente partecipe di tale messaggio ancestrale: i Dark Quarterer in concerto, una band per me mitica, seminale, stella irraggiungibile nel mio percorso artistico-musicale.

Dopo una breve chiaccherata con autografi connessi (momento rituale che si ripresenta ad ogni concerto dei DQ) il maestro dà il via alle danze (che per inciso è Francesco Longhi alle tastiere con la sua Sonata al Chiaro di Luna).
La serata è all'insegna della nostalgia con la riproposizione di tutto il primo (capo)lavoro datato ormai 25 anni; la scaletta viene riproposta per intero nella versione riarrangiata che già abbiamo potuto gustare su disco.
Terminati questi 50 minuti di puro godimento (in cui sopratutto il front man dimostra uno smalto fuori dal comune), si passa alla riproposizione di altri brani tratti dagli album più recenti: a tal proposito vorrei soffermarmi su uno di questi, Darkness, tratto dall'album War Tears che viene dedicato ad uno dei loro fan più accaniti presente in sala per l'occasione: perché mi ci soffermo? Perché è nel momento in cui Gianni intonava a cappella le prime note cantate che provavo nuovamente le stesse sensazioni già percepite qualche mese prima al Museo d'Orsay: essere misteriosi vuol veramente dire saper convivere ANCHE con ciò che di più oscuro e pauroso alberga in noi e questa volta è stata la musica a ricordarmelo.

il barbone del vicolo accanto



Toscana, terra epica: (nuovamente) capitolo I

Dark quarterer: XXV Anniversary
Dopo venticinque anni siamo nuovamente ad un Capitolo Primo per i Dark Quarterer, band O.C.G. di Piombino e vi posso assicurare che in pochi possono vantare un tale Elisir di lunga vita.

Dopo un quarto di secolo ci ripropongono il loro primo e forse più grande capolavoro (per svariati motivi che potrete tranquillamente ritrovare nel primo post di questa, spero lunga rassegna di Toscana, terra epica) in una veste completamente nuova.
Sì, perché anche gli Assassini si rinnovano ed una calzamaglia alla Diabolik non va più tanto di moda.

Ci troviamo di fronte ad uno Squartatore dotato di due accette appena affilate (l'usurato e sperimentato basso di Gianni e la fresca e ben oliata chitarra di Francesco), una mazza ferrata di sacra lega multipla (le pelli da guerra di Paolo) e di una degna colonna sonora (le tastiere proggeggianti di Francesco) per i suoi crimini più efferati (che per inciso sono quelli di averci fatto innamorare ancora una volta della loro musica sopraffina)

Ma partiamo dall'inizio: il cd ripropone la stessa scaletta già registrata nel lontano '86 dal gruppo ( allora con un componente in meno, il tastierista) e fin qui niente di nuovo...apparentemente. Non so come, e spero che  questi alchimisti musicali abbiano una spiegazione razionale, ma è come se si stesse ascoltando un nuovo cd, e quando dico nuovo, intendo proprio NUOVO.

La storia in musica del leggendario Pianista dalle mani infuocate, ti pervade sin dall'intro intro ispirato alla Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven e suonata magistralmente al piano da un Francesco Longhi in gran forma ed ancora più Prog che mai, la voce stentorea e sempre più epica di Gianni Nepi narra tragicamente le sorti del Colosso d'Argilla, Paolo "Nipa" Ninci amoreggia con la sua batteria regalandoci ritmi dei più disparati e tenendoci quindi l'Agguato che tutti speravamo, mentre Francesco Sozzi sferra stilettate alla velocità della luce con la sua sei corde impersonando per più di una volta il leggiadro incedere del Killer Ombroso.

L'ancestrale musica incontra la razionale modernità in una spirale magica di note e pause sussurrate, vocalizzi  tombali, liberando tutta la magia tenuta racchiusa in questi lunghi venticinque anni; si giunge così alla fine del platter con il binomio che a mio giudizio dipinge meglio l'immensa personalità della band: The Entity e Dark Quarterer.

Lunga vita ai Dark Quarterer e che la musica continui ad ispirarvi.

il barbone del vicolo accanto

p.s.: un ulteriore appunto per l'artwork che per l'occasione viene riproposto in una nuova veste; non più solo il misterioso volto, ma il dipinto completo dal quale venne a suo tempo L'indifferenza. Quando si dice l'arte a 360°...



lunedì 21 maggio 2012

Carta batte forbice?

Andy Warhol: Marilyn Monroe
Sì, indubbio discuterci sopra, per molti aspetti della vita quotidiana (ma anche della vita culturale) lo schermo, ormai ultrapiatto, ha vinto la guerra contro l'antichissima carta: è cosa buona o cosa poco buona?
Difficile rispondere, sopratutto considerato che tale "vittoria" è recente, nozione temporale constatabile sia se la consideriamo in termini assoluti (lasso di tempo durante il quale ha preso piede in maniera generalizzata), sia in termini relativi (se la rapportiamo alla durata media dei mutamenti nella storia dell'umanità).
A mio personalissimo giudizio, non è cosa buona. 
Per svariati motivi, primo fra tutti la necessaria riflessione che un manoscritto richiedeva sia in termini di calligrafia e di presentazione, che in termini di parole scelte e trasportate su foglio.
E' con questa prefazione che entro nel cuore di questo nuovo post, un fenomeno che a mia conoscenza trova la sua originalità, in tale momento storico, solo in Italia: una "nuova" fanzine di musica Underground.
Scrivo nuova fra virgolette per sottolineare come tale fenomeno non sia in realtà frutto del ventunesimo secolo, ma piuttosto del secolo passato, quando lo sbocciare di nuovi generi musicali (i vari filoni del metal innanzitutto) determinava un'avidità di informazione che Internet, ancora non inventato, o, in ogni caso non diffuso a livello capillare (n.d.r. correva il 1923 quando il CERN rese pubblica tale invenzione, l'Interconnected Networks, cosicché tutti ne potessero usufruire) non poteva saziare.
Erano i singoli fan, di conseguenza, che tramite miriadi di telefonate e rapporti epistolari con tutto il Mondo, tentavano di reperire ogni singola news a proposito delle proprie band preferite; a questo poi si univa il fenomeno di scambio di musicassette con gli ultimi capolavori dei propri eroi incisi sopra; una vera rete di passione e musica.
Ed oggi? Oggi con Internet tutto si è semplificato e gli stessi fan boy trovano vita più facile nell'essere messi al corrente dell'ultime peripezie dei propri artisti preferiti (con ridicole derive stile Beautiful che, forse un tempo, considerati i tempi dell'informazione, trovavano poco spazio fra le news realmente importanti).
Cerchi un cd? Lo scarichi (ahimè). 
Vuoi sapere se tal gruppo passerà dalla tua città? Facilissimo, vai sul loro profilo FB.
E se questa semplificazione si applica per i grandi nomi, ancora più agilmente si applica per le piccole realtà locali, in un primo tempo penalizzate dalla diffusione dell'informazione.
Quindi tutti felici e contenti?
No. 
C'è sempre qualcuno che (fortunatamente, oserei dire) si domanda se tutta questa semplificazione porti solo "rose e fiori" o al contrario lasci per strada qualche aspetto e sfumatura importante per la musica suonata e raccontata: questo signore risponde al nome di Beppe Diana.
Per quanto impossibile in poche parole (non me ne vorrà il sottoscritto), tenterò di riassumere la sua vita dicendo che è stato (ed è tutt'ora) un personaggio molto importante nell'ambiente underground italiano per la sua crociata giornalistica a sostegno dell'Underground metallico.
Beppe, quando tutti prediligono l'informatizzazione delle Fanzine, sia per una questione economica che per una questione di visibilità pubblica, ha preso una decisione coraggiosa, riportare in auge la leggenda della fanzine cartacea.
Perché? Anche lui, come me (anzi prima di me, cosicché da portare anche il sottoscritto a riflettere a tal proposito), si chiede se veramente i mezzi che oggi usiamo per diffondere ed informarci siano sufficienti.
Graveyard Symphony Fanzine è il nome da lui attribuitole in onore di due delle più importanti case discografiche italiane che trattino di Underground (My Graveyard Production e Underground Symphony).
Abbiamo quindi ventitré spartane pagine di interviste inedite, scambi d'opinione, passione e metallo colante: leggiamo di un'Italia "Heavy" che vuole rialzarsi vuole suonare e vuole far ancora emozionare. E ci riesce.
Si può veramente tastare l'anima che Beppe mette nell'intervistare le band, anche se in alcuni casi avrei apprezzato qualche domanda in più e più mirata a proposito dei testi delle canzoni: ho sempre avuto l'impressione che nell'ambito di musica Metal non sia dia troppo peso a tale sfaccettatura della musica ed il risultato più evidente è che molti gruppi risultino molto carenti da questo punto di vista.
Il prodotto proposto dal giornalista è in ogni caso molto valido, ben impaginato, correlato da un giusto numero di fotografie.
La lettura è in alcuni casi un po' disturbata dai trafiletti che Beppe ha ripreso dalle interviste per sottolineare certi concetti, a suo giudizio, più importanti; credo che sarebbe necessario evidenziarli con un carattere di stampa diverso oppure con un corsivo. Essi vengono infatti "grassettati" ma, purtroppo, alcune volte si confondono col testo dell'intervista.
Da apprezzare anche la presenza delle recensioni di alcune uscite Underground, anche se consiglierei di raggrupparle in un'unica sezione e dividere le produzioni straniere da quelle italiane, oltre a precisare, nel caso di quest'ultime, la città di provenienza della band; credo, infatti, che essa possa influenzare decisamente il sound dei musicisti che ne prendono parte. In ogni caso è solo una questione di ordine, niente di fondamentale.
Dunque come concludere questo lungo ed atipico intervento? Con una nota decisamente positiva nei confronti  di Beppe, il suo sforzo ha dato alla "luce" un prodotto ormai quasi dimenticato dalla nostra cultura sempre di fretta, capace di aprirci gli occhi sulla realtà Underground da un punto di vista diverso da quello che lo schermo del nostro computer, purtroppo, riesce a darci.
Grazie ancora, Beppe, volevi comunicare, beh, ci sei riuscito alla grande.


il barbone del vicolo accanto


p.s.: chi volesse avere qualche informazione in più su tale iniziativa può domandare direttamente all'interessato  Beppe Diana, che sarà felicissimo di rispondere ad ogni vostra curiosità. 
Accrescete la comunità che sostiene l'Underground italiano, le emozioni sono assicurate.

mercoledì 16 maggio 2012

Toscana, terra epica: capitolo I

Credo fortemente che la propria terra natale con il suo carico di storia e di magia (intesa come "memoria" della quale è intrisa una certa località) determini fortemente lo spirito di alcuni individui più sensibili (o sensitivi) che lì vi trovano i natali.
In particolare, cotanta magia si può percepire nel momento in cui l'essere umano più sensibile o più sensitivo, inizia a creare su una lunghezza d'onda compatibile con tale entità pregnante la terra, e la musica rappresenta, senz'altro, una delle arti capaci di cogliere tale frequenza e raccontare tramite le sue note la magica storia del proprio passato.

Inizio così una rubrica dedicata interamente alla mia terra natale (la Toscana) ed a quella musica che, a mio giudizio, ne riesce a cogliere meglio lo spirito nascosto: l'Epic Metal.


Bisogna necessariamente fare un salto nel passato, agli anni progenitori di tale genere musicale (e di molti altri stili a rigor del vero); sto parlando degli anni '70.
E' infatti in quegli anni che i più importanti rappresentanti del genere in questione a livello italiano (ma anche mondiale a mio giudizio) muovono i primi passi: sto parlando dei Dark Quarterer e quello che sto per presentarvi è il loro leggendario omonimo primo LP.

Dark Quarterer: Dark Quarterer


Dark Quarterer: Dark Quarterer
I Dark Quarterer sono tre ragazzi di Piombino (in provincia di Livorno) animati da tanta amicizia e tanta voglia di suonare quando pubblicano il loro primo LP nel lontano '87, dopo molti anni di rodaggio insieme (ben 13 dal loro primo incontro in sala prove) senza mai scrivere qualcosa di loro, senza mai esibirsi dal vivo, ma impegnati soltanto ad eseguire perfettamente le cover dei propri artisti preferiti, artisti che spaziavano dall'Heavy Metal dei Judas Priest al Progressive Rock dei Van der Graff Generator fino all'Hard Rock dei Led Zeppelin.
Avevano voglia di suonare, ma avevano ancor più voglia di trovare un loro stile, di capire quale fosse il destino che accomunava il suddetto trio delle meraviglie; tutti eseguivano i pezzi e tutti allo stesso tempo cercavano di cogliere la propria strada in tali note.
Non erano semplicemente tre musicisti, ma tre guru nel bel mezzo di una meditazione condotta per mezzo di corde e tamburi.
Già la copertina, immediatissima, dimostra che chi abbiamo davanti ha qualcosa fuori dal comune; è solo carta stampata, ma odora ugualmente di muffa, di umidità, di catacomba e la luce stessa che ci avvolge nel momento in cui ci apprestiamo ad ascoltare l'LP sembra scemare come inghiottita da una presenza oscura.
Il nero squartatore è dietro di noi e ci sta per pugnalare; ma non è un colpo che infligge danni, è un una pugnalata che ti fa innamorare immediatamente.
Se la stessa copertina ci proiettava in un mondo passato, magico e quasi dimenticato, la musica che dallo stereo scaturisce non fa che incrementare tale sensazione, venendo proiettati migliaia di anni fa, ai tempi in cui gli etruschi sulle coste toscane muovevano i primi passi.
Le emozioni nascono dalle storie fantastiche narrate dal trio, storie di patti col Diavolo in cui la Musica rappresenta il contratto (che anche loro ne abbiano sottoscritto uno?), si narra di misteriosi assassini, di metaforici colossi d'argilla e di strane entità malefiche.
La produzione artigianale (nel senso assolutamente positivo del termine) arricchita da ben pochi effetti "speciali" (a parte qualche riverbero vocale) mette in risalto le incredibili doti del gruppo, riuscendo, incredibilmente, a bilanciare alla perfezione i 4 strumenti (perché come ci insegna il compianto Demetrio, anche la voce è necessario suonarla).
L'oscurità aleggia fra le partiture, la rabbia, il terrore fluiscono dal disco incantando l'ascoltatore, mentre il basso impone la propria marcia insieme ai tom della batteria e la chitarra infiamma gli animi come le mani del pianista descritto nel primo brano; la voce fa il resto rappresentando la chiave di lettura di tali composizioni.


Non è possibile, ciò non può essere terrestre; ed invece lo è, ed pure italiano.


E' una pietra miliare della musica italiana, una pietra fatta di passione, sudore, sogni, tradizione e terra, perché la loro Piombino li ha regalato ciò che di più prezioso esista al Mondo: l'Arte.


Gianni Nepi: basso elettrico e voce
Paolo "Nipa" Ninci: batteria e cori
Fulberto Serena: chitarra elettrica


il barbone dell'angolo accanto


"what is my life without anysense, what is my life, what is music without my presence"

giovedì 3 maggio 2012

Quando l'underground si dà appuntamento a Parigi

R. Crumb: L'amazzone con le trecce
Ebbene sì Parigi, città Underground.
Ma avevamo qualche dubbio a proposito? Io neanche uno, dopotutto la metro parigina è una delle più antiche, più articolate e più misteriose al mondo, a mio giudizio.
Ma non è di pensiline, gallerie o treni fantasmi che parleremo, ma di fumetto, perché anche quest'ultimo può essere underground e può esserlo di brutto.
In questo periodo, infatti, presso il monolitico Centre Pompidou ed il più discreto Musée d'Art Moderne troviamo due fra i più grandi rappresentanti della nuvoletta che ci concedono di dare un'occhiata alla loro intera vita artistica: Crump e Spiegelman.
Perché li presento assieme? Perché entrambe le mostre, pur strizzando l'occhio alle loro produzioni più famose (dedicando rispettivamente a La Genesi di Crumb ed a Maus di Spiegelman un'intera stanza sulle cui pareti sono affisse, in ordine numerico, tutte le tavole di questi capolavori) tendono a sottolineare le origini dei due vignettisti con particolare interesse alla loro vena (e radice) puramente Undeground.
E' lo sguardo all'America di quegli anni che gli accomuna, come anche la lente che essi vi pongono davanti: il proprio background socio-culturale.
A. Spiegelman: Locandina dell'esposizione
Crumb utilizza il sesso e la sessualità per raggiungere il proprio obiettivo, mette sotto accusa il bigottismo dilagante scagliandovi contro attraverso i suoi tratti infantili ma estremamente adulti allo stesso tempo.
Spiegelman, tramite il suo Breakdown sposa la causa underground tentando la via di un nuovo linguaggio visivo.
Entrambi lo fanno percorrendo le vie più profonde, i canali secondari, prendendosi gioco delle major della vignetta (Mr Natural di Crumb ne è l'esempio fra i più emblematici): entrambi percorrono le vie sinuose e nascoste delle produzioni indipendenti creandosi una propria immagine, costruendo mattone su mattone la propria immagine che in futuro sfiorerà la leggenda.
L'underground è ancora una volta terreno fertile per la costruzione dell'individuo, per la riflessione, per lo scontro col proprio io.
Le mostre, parallelamente fra loro, puntano i riflettori su questo cammino, più scanzonato nel caso di Crumb (ma non meno profondo), più serioso nel caso di Spiegelman (anche se le sue "ultime" produzioni quali The New Yorker mostrano un autore molto più ghignante).
Due mostre che, per chi avesse la possibilità di un piccolo soggiorno a Parigi, meritano veramente una scappata: in una giornata potrete gustarvele appieno tutte e due, usufruendo di pezzi da collezione in bella vista oltre che, nel caso di Crumb anche di  divertenti interviste proiettate, mentre nel caso di Spiegelman del bel panorama sull'antica Lutetia che si gode dal Centre Pompidou.


Buona visita...o semplicemente buona lettura.


il barbone del vicolo accanto

giovedì 12 aprile 2012

Tossic-a Transumanza


Annibale Carracci: Bottega del macellaio
Un sonoro bestemmione accoglie i "relativamente" pochi (ma buoni) fans che partecipano ai concerti di questi goliardici metallari di Pisa; insomma, il concerto inizia bene.
Transumanza è il loro ultimo lavoro e posso dire che non sarebbe stato possibile trovare un titolo più azzeccato a tale ammucchiata di pezzi da macelleria.
Ma chi sono i Tossic? Già ho risposto a questa domanda quindi non dovreste pormela di nuovo, caproni, ma per i testoni ripeterò ed aggiungerò qualcosa: band dalla "truezza" metallara capaci di spararti pezzi alla velocità di Whiplash (ai tempi in cui i Metallica bazzicavano anche loro l'Underground) ma di farcirteli con truculente demenza e testi di "protesta" sociale (anche se sempre colante "stupidenza").
Tossic sono capaci di proporre la stessa cattività dei temi del più rude trash metal, rielaborati col guascone spirito toscano che tanto contraddistingue le coste tirreniche dell'ex Granducato; con CAI TV si prende in giro la televisione dei mille canali inneggiando piuttosto all'uso del membro maschile (santa verità), con Utah si deride la voglia di partire dall'Italia mentre con Cazzi di pane...credo non si voglia esprimere un bel niente! (ogni tanto un po' di bianco mentale fa bene alla salute).
Come una iena riesce invece ad esprimere pienamente lo spirito del gruppo con velocità, potenza, succulenza, sanguinolenza e tutto ciò che vi venga in mente con "enza".
Ne allegherò il link per garantirvi qualche minuto di pura goduria (dal vivo per godere pure della bella vista di Mazza, il cantante).
Ma ci sono anche delle pecche.
A partire dall'ultima rappata, e non perché consideri tutto ciò che è al di fuori del Metal "merdal", ma solo perché non la ritengo una "divertente" canzone rap, oltre a far calare di brutto il ritmo creato dai pezzi precedenti.
Seconda pecca, sempre a mio avviso, è la ripetitività di alcuni ritornelli, ma in fin dei conti questi difetti sono equivalenti a "...caccole gommose..." (cit.).
Per il resto, la presenza di due canzoni riproposte dai propri lavori passati (come una iena e cazzi di pane) rappresenta una bella occasione per i nuovi fans come me di gustare qualcosa dai precedenti, introvabili per ora, lavori, ma dall'altra tende a sottolineare l'evidente cambio di stile che si è evoluto con gli anni (e questo dipende dai gusti, può essere un male od un bene); la velocità tende ad essere sostituita da riff di chitarra di una grossezza bovina (fantastica) che però riescono benissimo nell'intento di provocare un headbanging tellurico nell'ascoltatore; roba da sfondare la scrivania con una testata se non ci si sta attenti (e poi naturalmente cadere a terra privi di coscienza).
Tant'è, del cd risulta comunque obbligatorio l'acquisto, inutile girarci attorno.
Sosteniamo queste realtà, perché la musica deve anche prendersi in giro e far sbavare dal ridere chi l'ascolta.
Ed in questo i Tossic sono fra i numeri uno.


il barbone del vicolo accanto


p.s.: "...ma se questa non ti va la maiala di tu' mà..." (cit.)


lunedì 26 marzo 2012

Un piccolo ricordo

Non è underground. O forse, per come è stato trattato dal nostro Paese, è come se avesse sempre abitato nelle fogne per proseguire la propria carriera.
Oggi l'ultimo smacco: la sua morte dimenticata dall'informazione di massa, mentre su un altro canale infuria la folle felicità della vincita facile, del guadagno senza sforzo. 
Una chimera che all'italiano medio ha sempre fatto gola:: il "semplice" come chiave di Volta.
Forse è veramente meglio così. Almeno in questo l'Italia, dimenticandoti per l'ennesima volta, non si è dimostrata ipocrita.
Per me rimarrai sempre un grande pensatore. Ed i tuoi, fra i libri che più mi hanno emozionato.


Buon viaggio, Prof. Antonio Tabucchi.


il barbone del vicolo accanto

venerdì 23 marzo 2012

Gli aristocratici della musica

Sir Anthony Van Dyck: Charles I of England
Si chiamano The Aristocrats e precisamente Mercoledì 13 Marzo passato li ho visti dal vivo a Paris; ed è come essere stati partecipe alla deflagrazione di una bomba.
E' per questo motivo che ho comprato il cd ed è per questo che voglio parlarne.
A vederli live sembra realmente di trovarsi di fronte a Charles I of England di Sir Van Dyck, con la sola differenza che la loro nobiltà la dimostrano imbracciando gli attrezzi del mestiere, cioè quelli musicali; tanto meglio, in questo periodo di nobili "soltanto di nome" ne abbiamo fin sopra le palle (come, giustamente, è sempre stato durante la storia della civiltà umana).


Ma partiamo da inquadrarne un po' le caratteristiche principali, per quanto possibile è inteso; suonano del Jazz/Fusion con molte, moltissime, influenze Rock (sopratutto nelle tirate partiture di batteria) e Progressive (sempre grazie alle imprevedibili iniziative del batterista Marco Minnemann).
Penso abbiate capito di come lo strumentista che più ho apprezzato all'interno dell'album (e del live, dopotutto) sia stato il talentuosissimo battitore capace di dar mostra di una creatività (sopratutto quella, sia chiaro) sopra le righe, ma anche di una simpatia veramente deliziosa (questa inevitabilmente apprezzabile sopratutto in serie live).
Gli altri, in ogni caso non si dimostrano da meno, sotto tutti gli aspetti già considerati per il batterista; talento, originalità, DOTE e capacità di trasformarla in creazione.
L'analisi canzone per canzone è inevitabilmente difficile causa presentazione del lavoro (solo strumentale); mi limiterò a citare la canzone che sia in sede live che in "studio" (sia mio che loro) mi ha trasmesso più emozioni e che più, a mio parere, sia riuscita a condensare lo spirito della band americana: "Blue Fuckers". Il titolo dice tutto, o quasi, quello che rimane da spiegare lo farà il link che in fondo vi allego.
Buon ascolto, fottitori.


p.s.: gli altri due strumentisti rispondo ai nomi di Guthrie Govan -chitarra-, e Bryan Beller -basso ed effetti-. Impossibile ascoltarli senza innamorarsi dello strumento che suonano.


p.s. 2: Marco Minnemann, per intendersi, era la seconda scelta dei Dream Theater dopo Mike Mangini (attuale nuovo membro dietro le pelli) per rimpiazzare quel simpaticissimo (e mostruosissimo) sbruffone di Mike Portnoy. Personalmente credo che la band avrebbe guadagnato creatività con Marco, ma naturalmente, è solo una mia opinione.


il barbone del vicolo accanto


venerdì 9 marzo 2012

"...ma cosa c'hai nella testa, le scimmie urlatrici?!" parte II

Eh sì stavo commettendo un paio di errori madornali.
Primo non ho inserito la vera copertina del loro EP, ma solo la versione alternativa (però, a mia discolpa, non mi riesce trovare una bella immagine dell'originale), secondo non ho allegato una creazione "un po' datata" del mio compagno di penna Clemuerte, (penna che a brevissimo sfodererà per ricoprirvi col sangue delle sue elucubrazioni) che è direttamente correlata al primo lavoro delle Screamin' (ed allo stesso tempo collegato al cinema dei B side); il mio collega ha infatti sfornato il primo video "ufficiale" della band pratese, inserendo alcuni estratti del film Dawn of the Dead fra le graffianti note di Keep your breath and open your eyes, brano appunto tratto dall'EP Earthquake.

Ve lo allego, gustatevelo così, truculento al punto giusto.

il barbone del vicolo accanto

giovedì 8 marzo 2012

"...ma cos'hai nella testa, le scimmie urlatrici?!..."

Screaming Monkeys: Earthquake (copertina alternativa dell'EP)
Quanti di noi avranno riso di brutto alla filosofica questione, del titolo di cui sopra, sparata nel quasi-capolavoro firmato Aldo Giovanni e Giacomo, Chiedimi se sono felice?
Bhè, ad ascoltare il disco delle Screaming Monkeys si ride poco, al massimo si sorride di compiacimento.
Sopratutto se si è pratesi (per gli ignoranti -cioè che ignorano- sempre per citare Aldo Giovanni e Giacomo, abitanti della città Prato) come loro.
E per quale diavolo di motivo dovremmo compiacerci all'ascolto del loro primo EP Earthquake?

Perché è il loro primo contatto ufficiale con la critica del pubblico e perché ci sanno fare, è semplice.

Adesso mi trovo molto in difficoltà a recensire questa loro piccola gemma, in quanto poco esperto del loro  genere musicale (a mio giudizio, tra l'altro, assolutamente indefinibile nel caso delle Screamin'), però tenterò  lo stesso.

Sono underground e su questo non ci piove.


Sono potenti e su questo non ci piove.

Ci offrono uno stile variegato, giusto mix di tutte sfumature musicali provenienti dai vari componenti del gruppo, che arricchisce la produzione rendendola molto più di un semplice EP.
Non faccio analogie e comparazioni con altre band perché, come già detto, da vero ignorante in materia, rischierei di non rendere giustizia al nostre Scimmie nazionali.
Abraham Terniers: Il banchetto delle scimmie
La coppia vocale Clean-Growl (una nota di merito a quest'ultima che a mio giudizio riesce a distinguersi addiriuttura all'interno dell'universo Growl, dando alla sua tessitura un tocco schizofrenico veramente azzeccato) suona veramente funzionale (anche se migliorabile a mio giudizio).


La parte strumentale è, in più, veramente curata, aggressiva al punto giusto e di fondamentale importanza nel dotare il gruppo di quella individualità che, come già detto, li caratterizza; unica pecca credo sia la parte di basso che appare messa in secondo piano dalla produzione, ma può darsi sia solo una mia impressione.
Veramente gustosi gli assoli di chitarra, nient'altro d'aggiungere.

Altro aspetto che ho molto apprezzato è la volontà di divertirsi, o meglio di fare i cazzoni (sopratutto conoscendo di persona i componenti del gruppo), che si denota in ognuna delle canzoni (il lalalalalalalalala a chiusura della prima vera canzone -non considerando l'ermetico intro- ne è la più chiara dimostrazione).

Siamo di fronte ad una band che spero continuerà su questa linea la propria produzione musicale, perché molto dotata, perché decisa a distinguersi e perché capace di farlo.

E' proprio vero che si è seri solo nel momento in cui si sa ridere.

O urlare, proprio come una scimmia.


Non per niente mi è sembrato veramente azzeccato il quadro del pittore fiammingo Abraham Terniers in cui le scimmie sono rappresentate nel tentativo di emulare l'uomo nelle sue azioni più animalesche (o forse, a questo punto, è il contrario, è l'uomo che imita le scimmie).

il barbone del vicolo accanto

p.s.: inutile dire che siete obbligati a visitare il loro Myspace e chiedere la loro amicizia su Facebook.


p.s.2: per un certo recensore che mi ha preceduto nella loro valutazione: dove cavolo ce l'hai visto un rimando a Jon Bon Jovi nella loro musica?!?! Ma che c'hai nella testa, le scimmie urlatrici?

domenica 4 marzo 2012

è il bene o è il male?

Salvador Dalì "Corpus Hypercubus"
E' dunque con questa domanda che si apre il sipario (o forse sarebbe meglio dire la fogna?) di quel teatro che per i tempi a avvenire presenterà sulle sue assi umide i protagonisti delle nostre elucubrazioni.
Di fronte a questo vecchio palcoscenico di periferia ci sono ancora alcune sedie, chi vorrà potrà fermarsi ad ascoltare, ad annusare, a vedere ed a toccare i nostri pensieri, sarà sempre il benvenuto.
La scelta del soggetto, dell'opera, della creazione umana che più di tutte potesse incarnare il concetto d'underground ci è sembrata da subito ardua, inutile girarci attorno; quello che ci si apre davanti è un vero e proprio universo parallelo, ed è veramente complicato nominare il re indiscusso dell'underground senza sollevare questa o quella polemica. 
Naturalmente ce ne fottiamo, ed avanzo la nostra candidatura, che poi è, "democraticamente", anche la nostra scelta.


Il suo nome è Stefano Silvestri, in arte Steve Sylvester.


Ogni amante dell'underground, sopratutto se di un certo stampo, dovrebbe sentirsi tatuato addosso l'obbligo di conoscere tale personalità del mondo della musica.
Non aggiungo altre date, eventi o affini, chi vorrà farlo potrà trovare tutte le informazioni cercando su internet.
Se poi quest'ultimo amasse "ricercare" come si faceva una volta, cioè attraverso la conoscenza diffusa su carta, allora quello che leggerete fa veramente al caso vostro.
Ma prima una piccola digressione sul perché abbiamo scelto l'immagine di Steve Sylvester come "Overture Mortale" (come direbbero i buon vecchi Domine di cui parlerò, a diritto, in un post a loro dedicato) di questo nostro immaginario concerto; egli rappresenta in tutto e per tutto la fusione tra Bene e Male, tra Genio e Follia, fra Bianco e Nero e la sua musica è la chiave d'interpretazione di questo antinomico binomio.
Il vampirico artista diventa quindi emblema della sua arte, ma anche emblema della corrente musicale e culturale che è l'underground e che risponde anch'esso ai canoni di Caos ed Ordine, Bene e Male etc etc.


Dunque, è molto semplice, lui è L'undeground.


Ma è tempo di affrontare il tema centrale di questo primo atto: la sua biografia, Il Negromante del Rock.
Il libro, in sintesi, è un vero e proprio condensato degli eventi che lo hanno portato a creare e a coltivare la mitica band il cui nome ancor oggi serpeggia fra le bocche degli appassionati fans (ma non solo): i Death SS.
Non è mia intenzione fare il riassunto del volumetto, il cui contenuto è meglio assaporato se degustato per intero, quindi mi limiterò soltanto a "illuminare" (mai termine più sbagliato poteva essere utilizzato in rapporto a suddetto libro) qualche aspetto che ho veramente apprezzato e che lo hanno reso a mio giudizio una delle letture più soddisfacenti degli ultimi mesi.


1. La presentazione


Copertina de "Il negromante del Rock"
Niente di meglio poteva domandare un fan; se poi allo stesso tempo, questo, fosse anche collezionista e amante di libri allora l'acquisto deve essere obbligatorio.
Il volume si presenta in un formato veramente comodo, brossurato, con copertina lucida e carta spessa; insomma, nessun rischio che le pagine si frantumino a causa della vostra voracità nella lettura.
Steve accoglie il lettore fin dalla copertina con la sua immagine completamente nuda (che appare come un misto tra una fotografia ed un'opera di graphic art) se non fosse per un serpente che avvolge solo alcune parti del corpo.
L'interno del libro è all'altezza dell'esterno: fotografie di repertorio (alcune o tutte, credo, mai pubblicate fino ad ora), miniature di inizio capitolo, moltissime tavole di approfondimento su argomenti che hanno determinato la maturazione artistica del cantante di Pesaro, per non parlare poi delle interviste ad alcuni personaggi che lo hanno sempre apprezzato (lo scrittore Carlo Lucarelli per esempio); insomma se anche l'occhio vuole la sua parte qui ha trovato veramente quello che cercava.


2. I contenuti




Credo fermamente che questo libro vada ben oltre la semplice "biografia".
Considerato il luogo di nascita dell'artista italiano (Pesaro) e considerato il suo anno di nascita (1960) abbiamo un binomio perfetto per  delineare, tramite le sue parole, i tratti del provincialismo che tanto caratterizzò e tanto caratterizza tutt'oggi la penisola italiana.
Steve ci parla dei primi fumetti erotici comprati con una certa dose di pudore all'edicolante vicino a casa (per esempio Jacula) ci parla dei cinema di periferia fatiscenti nei quali venivano passate le pellicole di B-movie, cult allora come cult oggi e ci parla della musica punk che contagiava sempre più giovani, man mano che essa bruciava, distrutta dai suoi stessi eccessi.
Ma siamo anche nell'Italia del bigottismo, delle chiese di paese che determinano il ritmo della vita secondo il loro volere, ma anche nell'Italia del paganesimo, della "magia di campagna" ed è grazie a questo dualismo ancestrale che in Steve cresce la volontà di fare musica e di farla a modo suo.
E così Steve ci parla dei primi scontri col perbenismo locale, dimostratosi più volte sottile maschera tesa a proteggere gli istinti più animaleschi, della solitudine e della voglia di trasgredire, ed è contro questo bigottismo che Steve si scaglia. 
Durante i suoi primi concerti mette in scena un vero e proprio teatro degli orrori, con travestimenti che riprendono la tradizione orrorifica dei B-movie ed ambientazioni che riproducono ambienti lugubri e cimiteriali; inutile girarci attorno, l'artista rappresenta un vero pioniere della musica come shock visivo, in cui anche la rappresentazione teatrale costituisca un aspetto fondamentale del tutto.
Le note, finalmente si fondono con i loro esecutori in una spirale di pura follia.


3. Steve Sylvester


Ed allora perché Steve Sylvester?
Perché, fin dall'inizio ha fatto molto di più che comporre musica.
Fin dagli albori dell'uomo la musica è stato uno strumento magico, misterioso, capace di evocare le sensazioni più sconosciute, più ancestrali, più arcaiche; è questo l'obiettivo di Steve, riprodurre quella magia sul palco, coinvolgere il proprio pubblico in quella bolgia infernale che sono le musiche dalla sua mente scaturite. E la cosa che più sconvolge è che le persone che volontariamente lo vanno a vedere ne escono estasiate, come rinate.
E' magia pagana e Steve ne è il negromante.
Tale arte è la spada con cui, seppur indirettamente, combatte l'ignoranza di tutti i bigottismi, di tutti pregiudizi; raccontando dei freaks, dei mostri, delle sensazioni più paurose, egli scava all'interno degli angoli più oscuri del proprio animo, alimentando quella sete di conoscenza che da sempre rimane insaziabile nell'uomo (insaziabile ma, ahimè, spesso dimenticabile).
La sua musica diviene così salvifica, perché dalle tenebre spinge alla luce intesa come ricerca ad ogni costo, senza paura di essere diversi, fregandosene del giudizio altrui.
Ci salva dai "Sì" troppe volte detti e ci insegna a dire "No" alle strade che non ci interessano.


Per raggiungere l'Inferno non necessariamente si deve percorrere una strada ampia e libera da pericoli, come ci insegna il detto popolare, ma può darsi che si debba sudare, lottare, fare delle scelte e prendere una strada piuttosto che un'altra, e per una volta nella propria vita, può darsi veramente che si cominci a salire.  


il barbone del vicolo accanto

mercoledì 22 febbraio 2012

underemotional city

Gustave Doré "Divina Commedia: Canto I"
"Il termine cultura underground (o semplicemente underground) definisce un ampio insieme di pratiche e di identità accomunate dall'intento di porsi in antitesi e/o in alternativa alla cultura ufficiale della società di massa" 


Così Wikipedia definisce questo, oserei aggiungere, vero e proprio movimento culturale.

Personalmente ci piacerebbe arricchire ulteriormente questa breve sintesi con alcune nostre riflessioni, con ciò che per noi rappresenta vivere la cultura underground.

Lo faremo ogni tanto proponendovi alcuni spunti, letterari, musicali e chi più ne ha più ne metta, ma ci piacerebbe farlo in primis con questo primo post, un modo insomma per darvi e darci il benvenuto e farci così conoscere da quelli che speriamo saranno i nostri futuri, assidui lettori.

Ma sia chiaro, ciò che presenteremo sarà ciò che noi riteniamo essere underground; non rispondiamo ad alcun criterio classificativo ufficiale o ufficioso perché, in quanto struttura vincolante, andrebbe a contrastare col concetto di underground nella sua concezione più ancestrale.


E quindi, per concludere questo nostro primo incontro, ecco cosa per noi due, l'underground rappresenta:

"...underground è scrutare la fogna che ti scorre sotto partendo dai canali di scolo, bagnandosi prima i piedi, poi le mani e quindi il collo, il viso, gli occhi...così da farne un rituale delirante, antico, per poi tuffarcisi dentro con tutto il corpo nel momento in cui ne raggiungi il nero bacino centrale... " il barbone del vicolo accanto


"underground è un sapore schietto che viene dal pozzo più recondito dell'inconscio. E' il reale che contrasta col teatro di posa quotidiano. E' il vedere lo spettacolo dietro le quinte piuttosto che la consuete montatura del palcoscenico.
E' una ribollita maldigerita fatta con ingredienti genuini che risale dall'intestino a levigarti il palato mentre all'interno della bocca giace una misera mentos che col suo sapore plastico intorpidisce l'olfatto alterando quella che sarebbe la sua effettiva percezione.
E' il negativo di ciò che sta alla luce, questo non significa però che non sia un genere brillante..." clemuerte