lunedì 26 marzo 2012

Un piccolo ricordo

Non è underground. O forse, per come è stato trattato dal nostro Paese, è come se avesse sempre abitato nelle fogne per proseguire la propria carriera.
Oggi l'ultimo smacco: la sua morte dimenticata dall'informazione di massa, mentre su un altro canale infuria la folle felicità della vincita facile, del guadagno senza sforzo. 
Una chimera che all'italiano medio ha sempre fatto gola:: il "semplice" come chiave di Volta.
Forse è veramente meglio così. Almeno in questo l'Italia, dimenticandoti per l'ennesima volta, non si è dimostrata ipocrita.
Per me rimarrai sempre un grande pensatore. Ed i tuoi, fra i libri che più mi hanno emozionato.


Buon viaggio, Prof. Antonio Tabucchi.


il barbone del vicolo accanto

venerdì 23 marzo 2012

Gli aristocratici della musica

Sir Anthony Van Dyck: Charles I of England
Si chiamano The Aristocrats e precisamente Mercoledì 13 Marzo passato li ho visti dal vivo a Paris; ed è come essere stati partecipe alla deflagrazione di una bomba.
E' per questo motivo che ho comprato il cd ed è per questo che voglio parlarne.
A vederli live sembra realmente di trovarsi di fronte a Charles I of England di Sir Van Dyck, con la sola differenza che la loro nobiltà la dimostrano imbracciando gli attrezzi del mestiere, cioè quelli musicali; tanto meglio, in questo periodo di nobili "soltanto di nome" ne abbiamo fin sopra le palle (come, giustamente, è sempre stato durante la storia della civiltà umana).


Ma partiamo da inquadrarne un po' le caratteristiche principali, per quanto possibile è inteso; suonano del Jazz/Fusion con molte, moltissime, influenze Rock (sopratutto nelle tirate partiture di batteria) e Progressive (sempre grazie alle imprevedibili iniziative del batterista Marco Minnemann).
Penso abbiate capito di come lo strumentista che più ho apprezzato all'interno dell'album (e del live, dopotutto) sia stato il talentuosissimo battitore capace di dar mostra di una creatività (sopratutto quella, sia chiaro) sopra le righe, ma anche di una simpatia veramente deliziosa (questa inevitabilmente apprezzabile sopratutto in serie live).
Gli altri, in ogni caso non si dimostrano da meno, sotto tutti gli aspetti già considerati per il batterista; talento, originalità, DOTE e capacità di trasformarla in creazione.
L'analisi canzone per canzone è inevitabilmente difficile causa presentazione del lavoro (solo strumentale); mi limiterò a citare la canzone che sia in sede live che in "studio" (sia mio che loro) mi ha trasmesso più emozioni e che più, a mio parere, sia riuscita a condensare lo spirito della band americana: "Blue Fuckers". Il titolo dice tutto, o quasi, quello che rimane da spiegare lo farà il link che in fondo vi allego.
Buon ascolto, fottitori.


p.s.: gli altri due strumentisti rispondo ai nomi di Guthrie Govan -chitarra-, e Bryan Beller -basso ed effetti-. Impossibile ascoltarli senza innamorarsi dello strumento che suonano.


p.s. 2: Marco Minnemann, per intendersi, era la seconda scelta dei Dream Theater dopo Mike Mangini (attuale nuovo membro dietro le pelli) per rimpiazzare quel simpaticissimo (e mostruosissimo) sbruffone di Mike Portnoy. Personalmente credo che la band avrebbe guadagnato creatività con Marco, ma naturalmente, è solo una mia opinione.


il barbone del vicolo accanto


venerdì 9 marzo 2012

"...ma cosa c'hai nella testa, le scimmie urlatrici?!" parte II

Eh sì stavo commettendo un paio di errori madornali.
Primo non ho inserito la vera copertina del loro EP, ma solo la versione alternativa (però, a mia discolpa, non mi riesce trovare una bella immagine dell'originale), secondo non ho allegato una creazione "un po' datata" del mio compagno di penna Clemuerte, (penna che a brevissimo sfodererà per ricoprirvi col sangue delle sue elucubrazioni) che è direttamente correlata al primo lavoro delle Screamin' (ed allo stesso tempo collegato al cinema dei B side); il mio collega ha infatti sfornato il primo video "ufficiale" della band pratese, inserendo alcuni estratti del film Dawn of the Dead fra le graffianti note di Keep your breath and open your eyes, brano appunto tratto dall'EP Earthquake.

Ve lo allego, gustatevelo così, truculento al punto giusto.

il barbone del vicolo accanto

giovedì 8 marzo 2012

"...ma cos'hai nella testa, le scimmie urlatrici?!..."

Screaming Monkeys: Earthquake (copertina alternativa dell'EP)
Quanti di noi avranno riso di brutto alla filosofica questione, del titolo di cui sopra, sparata nel quasi-capolavoro firmato Aldo Giovanni e Giacomo, Chiedimi se sono felice?
Bhè, ad ascoltare il disco delle Screaming Monkeys si ride poco, al massimo si sorride di compiacimento.
Sopratutto se si è pratesi (per gli ignoranti -cioè che ignorano- sempre per citare Aldo Giovanni e Giacomo, abitanti della città Prato) come loro.
E per quale diavolo di motivo dovremmo compiacerci all'ascolto del loro primo EP Earthquake?

Perché è il loro primo contatto ufficiale con la critica del pubblico e perché ci sanno fare, è semplice.

Adesso mi trovo molto in difficoltà a recensire questa loro piccola gemma, in quanto poco esperto del loro  genere musicale (a mio giudizio, tra l'altro, assolutamente indefinibile nel caso delle Screamin'), però tenterò  lo stesso.

Sono underground e su questo non ci piove.


Sono potenti e su questo non ci piove.

Ci offrono uno stile variegato, giusto mix di tutte sfumature musicali provenienti dai vari componenti del gruppo, che arricchisce la produzione rendendola molto più di un semplice EP.
Non faccio analogie e comparazioni con altre band perché, come già detto, da vero ignorante in materia, rischierei di non rendere giustizia al nostre Scimmie nazionali.
Abraham Terniers: Il banchetto delle scimmie
La coppia vocale Clean-Growl (una nota di merito a quest'ultima che a mio giudizio riesce a distinguersi addiriuttura all'interno dell'universo Growl, dando alla sua tessitura un tocco schizofrenico veramente azzeccato) suona veramente funzionale (anche se migliorabile a mio giudizio).


La parte strumentale è, in più, veramente curata, aggressiva al punto giusto e di fondamentale importanza nel dotare il gruppo di quella individualità che, come già detto, li caratterizza; unica pecca credo sia la parte di basso che appare messa in secondo piano dalla produzione, ma può darsi sia solo una mia impressione.
Veramente gustosi gli assoli di chitarra, nient'altro d'aggiungere.

Altro aspetto che ho molto apprezzato è la volontà di divertirsi, o meglio di fare i cazzoni (sopratutto conoscendo di persona i componenti del gruppo), che si denota in ognuna delle canzoni (il lalalalalalalalala a chiusura della prima vera canzone -non considerando l'ermetico intro- ne è la più chiara dimostrazione).

Siamo di fronte ad una band che spero continuerà su questa linea la propria produzione musicale, perché molto dotata, perché decisa a distinguersi e perché capace di farlo.

E' proprio vero che si è seri solo nel momento in cui si sa ridere.

O urlare, proprio come una scimmia.


Non per niente mi è sembrato veramente azzeccato il quadro del pittore fiammingo Abraham Terniers in cui le scimmie sono rappresentate nel tentativo di emulare l'uomo nelle sue azioni più animalesche (o forse, a questo punto, è il contrario, è l'uomo che imita le scimmie).

il barbone del vicolo accanto

p.s.: inutile dire che siete obbligati a visitare il loro Myspace e chiedere la loro amicizia su Facebook.


p.s.2: per un certo recensore che mi ha preceduto nella loro valutazione: dove cavolo ce l'hai visto un rimando a Jon Bon Jovi nella loro musica?!?! Ma che c'hai nella testa, le scimmie urlatrici?

domenica 4 marzo 2012

è il bene o è il male?

Salvador Dalì "Corpus Hypercubus"
E' dunque con questa domanda che si apre il sipario (o forse sarebbe meglio dire la fogna?) di quel teatro che per i tempi a avvenire presenterà sulle sue assi umide i protagonisti delle nostre elucubrazioni.
Di fronte a questo vecchio palcoscenico di periferia ci sono ancora alcune sedie, chi vorrà potrà fermarsi ad ascoltare, ad annusare, a vedere ed a toccare i nostri pensieri, sarà sempre il benvenuto.
La scelta del soggetto, dell'opera, della creazione umana che più di tutte potesse incarnare il concetto d'underground ci è sembrata da subito ardua, inutile girarci attorno; quello che ci si apre davanti è un vero e proprio universo parallelo, ed è veramente complicato nominare il re indiscusso dell'underground senza sollevare questa o quella polemica. 
Naturalmente ce ne fottiamo, ed avanzo la nostra candidatura, che poi è, "democraticamente", anche la nostra scelta.


Il suo nome è Stefano Silvestri, in arte Steve Sylvester.


Ogni amante dell'underground, sopratutto se di un certo stampo, dovrebbe sentirsi tatuato addosso l'obbligo di conoscere tale personalità del mondo della musica.
Non aggiungo altre date, eventi o affini, chi vorrà farlo potrà trovare tutte le informazioni cercando su internet.
Se poi quest'ultimo amasse "ricercare" come si faceva una volta, cioè attraverso la conoscenza diffusa su carta, allora quello che leggerete fa veramente al caso vostro.
Ma prima una piccola digressione sul perché abbiamo scelto l'immagine di Steve Sylvester come "Overture Mortale" (come direbbero i buon vecchi Domine di cui parlerò, a diritto, in un post a loro dedicato) di questo nostro immaginario concerto; egli rappresenta in tutto e per tutto la fusione tra Bene e Male, tra Genio e Follia, fra Bianco e Nero e la sua musica è la chiave d'interpretazione di questo antinomico binomio.
Il vampirico artista diventa quindi emblema della sua arte, ma anche emblema della corrente musicale e culturale che è l'underground e che risponde anch'esso ai canoni di Caos ed Ordine, Bene e Male etc etc.


Dunque, è molto semplice, lui è L'undeground.


Ma è tempo di affrontare il tema centrale di questo primo atto: la sua biografia, Il Negromante del Rock.
Il libro, in sintesi, è un vero e proprio condensato degli eventi che lo hanno portato a creare e a coltivare la mitica band il cui nome ancor oggi serpeggia fra le bocche degli appassionati fans (ma non solo): i Death SS.
Non è mia intenzione fare il riassunto del volumetto, il cui contenuto è meglio assaporato se degustato per intero, quindi mi limiterò soltanto a "illuminare" (mai termine più sbagliato poteva essere utilizzato in rapporto a suddetto libro) qualche aspetto che ho veramente apprezzato e che lo hanno reso a mio giudizio una delle letture più soddisfacenti degli ultimi mesi.


1. La presentazione


Copertina de "Il negromante del Rock"
Niente di meglio poteva domandare un fan; se poi allo stesso tempo, questo, fosse anche collezionista e amante di libri allora l'acquisto deve essere obbligatorio.
Il volume si presenta in un formato veramente comodo, brossurato, con copertina lucida e carta spessa; insomma, nessun rischio che le pagine si frantumino a causa della vostra voracità nella lettura.
Steve accoglie il lettore fin dalla copertina con la sua immagine completamente nuda (che appare come un misto tra una fotografia ed un'opera di graphic art) se non fosse per un serpente che avvolge solo alcune parti del corpo.
L'interno del libro è all'altezza dell'esterno: fotografie di repertorio (alcune o tutte, credo, mai pubblicate fino ad ora), miniature di inizio capitolo, moltissime tavole di approfondimento su argomenti che hanno determinato la maturazione artistica del cantante di Pesaro, per non parlare poi delle interviste ad alcuni personaggi che lo hanno sempre apprezzato (lo scrittore Carlo Lucarelli per esempio); insomma se anche l'occhio vuole la sua parte qui ha trovato veramente quello che cercava.


2. I contenuti




Credo fermamente che questo libro vada ben oltre la semplice "biografia".
Considerato il luogo di nascita dell'artista italiano (Pesaro) e considerato il suo anno di nascita (1960) abbiamo un binomio perfetto per  delineare, tramite le sue parole, i tratti del provincialismo che tanto caratterizzò e tanto caratterizza tutt'oggi la penisola italiana.
Steve ci parla dei primi fumetti erotici comprati con una certa dose di pudore all'edicolante vicino a casa (per esempio Jacula) ci parla dei cinema di periferia fatiscenti nei quali venivano passate le pellicole di B-movie, cult allora come cult oggi e ci parla della musica punk che contagiava sempre più giovani, man mano che essa bruciava, distrutta dai suoi stessi eccessi.
Ma siamo anche nell'Italia del bigottismo, delle chiese di paese che determinano il ritmo della vita secondo il loro volere, ma anche nell'Italia del paganesimo, della "magia di campagna" ed è grazie a questo dualismo ancestrale che in Steve cresce la volontà di fare musica e di farla a modo suo.
E così Steve ci parla dei primi scontri col perbenismo locale, dimostratosi più volte sottile maschera tesa a proteggere gli istinti più animaleschi, della solitudine e della voglia di trasgredire, ed è contro questo bigottismo che Steve si scaglia. 
Durante i suoi primi concerti mette in scena un vero e proprio teatro degli orrori, con travestimenti che riprendono la tradizione orrorifica dei B-movie ed ambientazioni che riproducono ambienti lugubri e cimiteriali; inutile girarci attorno, l'artista rappresenta un vero pioniere della musica come shock visivo, in cui anche la rappresentazione teatrale costituisca un aspetto fondamentale del tutto.
Le note, finalmente si fondono con i loro esecutori in una spirale di pura follia.


3. Steve Sylvester


Ed allora perché Steve Sylvester?
Perché, fin dall'inizio ha fatto molto di più che comporre musica.
Fin dagli albori dell'uomo la musica è stato uno strumento magico, misterioso, capace di evocare le sensazioni più sconosciute, più ancestrali, più arcaiche; è questo l'obiettivo di Steve, riprodurre quella magia sul palco, coinvolgere il proprio pubblico in quella bolgia infernale che sono le musiche dalla sua mente scaturite. E la cosa che più sconvolge è che le persone che volontariamente lo vanno a vedere ne escono estasiate, come rinate.
E' magia pagana e Steve ne è il negromante.
Tale arte è la spada con cui, seppur indirettamente, combatte l'ignoranza di tutti i bigottismi, di tutti pregiudizi; raccontando dei freaks, dei mostri, delle sensazioni più paurose, egli scava all'interno degli angoli più oscuri del proprio animo, alimentando quella sete di conoscenza che da sempre rimane insaziabile nell'uomo (insaziabile ma, ahimè, spesso dimenticabile).
La sua musica diviene così salvifica, perché dalle tenebre spinge alla luce intesa come ricerca ad ogni costo, senza paura di essere diversi, fregandosene del giudizio altrui.
Ci salva dai "Sì" troppe volte detti e ci insegna a dire "No" alle strade che non ci interessano.


Per raggiungere l'Inferno non necessariamente si deve percorrere una strada ampia e libera da pericoli, come ci insegna il detto popolare, ma può darsi che si debba sudare, lottare, fare delle scelte e prendere una strada piuttosto che un'altra, e per una volta nella propria vita, può darsi veramente che si cominci a salire.  


il barbone del vicolo accanto